mercoledì 29 marzo 2017

Alla scoperta di Libarna



LA SCOPERTA DI LIBARNA
Libarna venne riscoperta nel XIX secolo in occasione dei lavori per la costruzione della Strada Regia dei Giovi (1820 - 1823) e della ferrovia Torino-Genova (1846 - 1854).
Gli scavi archeologici hanno poi riportato alla luce resti di edifici monumentali e quartieri di abitazioni. 
L'attuale area archeologico mostra una piccola parte della città antica, la quale si estendeva su una superficie molto più ampia. Sono visibili l'anfiteatro, il teatro, due quartieri di abitazioni e alcune strade urbane, mentre le terme ed il foro, successivamente agli scavi archeologici, furono reintegrati. 

TERME
Nel mondo antico le terme non erano solamente luoghi destinati ai bagni, bensì erano anche ambienti di conversazione e di divertimento.
Le terme, collocate tra il quartiere dell'anfiteatro ed il teatro, occupavano la superficie di quattro isolati. 
Non si conosce nulla dell'impianto poiché l'area non è mai stata indagata sistematicamente, infatti solamente dai vecchi scavi si può ipotizzare che il complesso fosse monumentale e che occupasse quattro isolati. 
Oltre i bagni erano presenti spazi adibiti per le attività sportive, come la palestra e la piscina (natatio), e culturali, ad esempio biblioteche e sale di declamazione. 
Solamente dal II secolo a.C. ha inizio lo sviluppo di un'architettura termale, infatti precedentemente il bagno era un'azione privata a cui si riserva poco spazio; all'interno dell'abitazione vi era la lavatrina o latrina (termine successivamente utilizzato per indicare i servizi igienici), collocata accanto alla cucina per sfruttarne il calore. 
In un impianto termale erano necessari uno spogliatoio (apodyterium), il calidario (il calidarium era la parte destinata ai bagni caldi), il tepidario (il tepidarium era la parte destinata ai bagni in acqua tiepida) ed il frigidario (il frigidarium era la parte destinata ai bagni in acqua fredda). Gli impianti termali potevano essere pubblici o privati.
In Italia le prime terme si diffusero nel meridione, in ambito magno-greco e siceliota (Gela, Siracusa, Megara Iblea) e campano. 

FORO
Il foro è uno spazio aperto, attorno al quale sorgono una serie di edifici, destinato alla vita commerciale, politica e religiosa. In una fase successiva il foro divenne un complesso architettonico unitario frutto di un progetto unico, come il Foro di Cesare a Roma. 
Il foro era solitamente posto all'incrocio del cardine (nord-sud) con il decumano (est-ovest) ed era il centro principale di incontro dei cittadini e delle principali attività pubbliche, politiche, amministrative, commerciali, religiose e giudiziarie; in alcuni casi si possono trovare delle case destinate ai membri della classe dirigente. 
Il foro di Libarna si trovava al di fuori dell'attuale perimetro dell'area archeologica, lungo il decumano massimo in direzione opposta all'anfiteatro. Sappiamo poco del suo assetto in quanto le ricerche ad esso riferite furono limitate nel 1911 che hanno permesso, comunque, di individuare l'area all'incirca quadrata. 
L'ampiezza del portico meridionale potrebbe far ipotizzare un utilizzo come basilica, come altri centri. Probabilmente un arco quadrifronte (come l'Arco di Giano a Roma) monumentalizzava lo snodo delle strade (sopra cui sorgeva il foro) all'ingresso settentrionale, regolamentando il traffico dei veicoli.
Accanto al portico sud è stata individuata una fondazione a pianta rettangolare ed è forse interpretabile come il basamento di un tempio, il Capitolium (edificio canonico del foro, principalmente dedicato alla triade capitolina: Giove, Giunone e Minerva).
Da un'iscrizione del I secolo d.C. si evince che un benefattore di nome Caius Atilius Bradua lastricò a sue spese la piazza. 
In un foro romano, inoltre, erano presenti il Comizio, spazio in cui i cittadini eleggevano i propri rappresentanti amministrativi, e la Curia, sede delle riunioni del Senato locale, oltre che molteplici botteghe. Successivamente si aggiunse anche la basilica, destinata ad ospitare svariate attività, tra cui quelle giudiziarie; proprio per l'amministrazione della giustizia la basilica divenne anche una biblioteca, come nel caso del Foro Traiano con la Basilica Ulpia. Il diritto romano si basava sulle sentenze precedenti, ospitate quindi in quella che era la sede dei processi, la basilica.

STORIA
Nella campagna di Libarna, in provincia di Alessandria, si possono ammirare i resti archeologici di quello che fu un insediamento a partire dalla media età del Ferro (VI – V secolo a.C.), quando con l’apertura di un emporio etrusco a Genova nella prima metà del VI secolo a.C. lo Scrivia divenne un’importante via commerciale che raggiungeva la Pianura Padana e le aree transalpine.
Nella seconda età del Ferro (III – II secolo a.C.) Serravalle Scrivia venne popolata dai Liguri e l’area per le sepolture si espandeva lungo le sponde del rio della Pieve.
L’importanza dell’insediamento protostorico è sottolineata dall’origine preromana del toponimo Libarna, citato anche dallo stesso Plinio (di origini cisalpine fu un magistrato, uno scrittore non professionista e il capo della flotta romana).
Non è definibile con certezza la data di fondazione della città di Libarna, ma essa doveva essere già organizzata come colonia nell’89 a.C.
Tra il II e il I secolo a.C. l’apertura della via consolare Postumia nel 148 a.C e la concessione della cittadinanza, latina nell’89 e romana nel 49 a.C., contribuirono all’attuazione di una pianificazione urbanistica programmata (si effettuò anche la catastazione del territorio), le cui tracce sono evidenti nel reticolato dell’impianto urbano che segue l’orientamento della via Postumia.



LA VIA POSTUMIA
La via Postumia fu fatta costruire dal console romano Postumio Albino nel 148 a.C. (tra il 149 e il 146 a.C. venne combattuta la III Guerra Punica e ci fu un conflitto contro la lega achea, con la conseguente distruzione di Cartagine e di Corinto) nei territori della Gallia Cisalpina (attuale Pianura Padana) per raggiungere i due porti più importanti del nord Italia: quello di Aquileia, sede di un porto fluviale accessibile dal Mare Adriatico, e quello di Genova sul Mar Ligure.
La via Postumia determinò la crescita del prestigio di Libarna che divenne punto di riferimento e di attrazione delle popolazioni residenti nei territori circostanti ed ebbe un ruolo di rilievo nel processo di romanizzazione delle aree finitime.

Via Postumia in azzurro

Le prime testimonianze archeologiche dell’area urbana di Libarna sono databili tra la metà e la fine del I secolo a.C.

Le strutture attualmente visibili permettono leggere l’articolazione topografica della città con particolare riferimento all’età romana imperiale (I – IV secolo d.C.) e testimoniano il momento di massimo splendore della città di Libarna, ricca, densamente popolata e frequentata da coloro che percorrevano la via Postumia.

Le dimensioni e le caratteristiche degli edifici pubblici indicano una città di dimensioni notevole e con una rilevante densità demografica; i reperti, rinvenuti nel corso degli scavi, testimoniano un sostanzioso flusso economico e commerciale nel corso dei primi secoli dell'impero ed un indebolimento di esso a partire dal III secolo d.C. La città sembra quindi perdere prestigio in età tardoantica, parallelamente al declino della via Postumia, anche se una continuità dell'insediamento è documentata dall'area del rio della Pieve in età medievale, dove sono state rinvenute sepolture ad inumazione (VII - VIII secolo), oggetti di arredo liturgico (seconda metà VIII secolo) provenienti dall'antica chiesa plebana e da una fornace per ceramica (IX - X secolo). 


LE PORTE DELLA CITTA'
Secondo i ritrovamenti Libarna non possedeva una cinta muraria, ma furono comunque edificate le porte a nord e sud lungo il cardine massimo per segnalare lo spazio urbano. 
Libarna, però, essendo un castrum verosimilmente doveva essere dotata di una fortificazione che andava oltre al significato simbolico. Dagli scavi archeologici nessun reperto è emerso, ma si può presupporre che la cinta muraria sia stata utilizzata come cava di materiali, in epoca più recente, per la costruzione di altri edifici. 

Nella costruzione di una città potevano interferire anche i valori politici e religiosi: prima di ogni azione viene interpretato il volo degli uccelli, il cosiddetto auspicium, dal magistrato o dall'augure. Successivamente, se l'auspicium fosse stato positivo, si procedeva con il sulcus primigenius: il magistrato delimita il perimetro delle mura con un'aratro (come fece lo stesso Romolo); questo è una sorta di augurium. Il magistrato veste con il cinctus gabinus (toga tipicamente adibita alle figure più importanti della classe alta). 
Venivano costruite per prime le mura, considerate un sistema di difesa ed un confine tra lo spazio esterno (ager) e quello interno (urbs). Successivamente si iniziavano a costruire gli edifici pubblici e poi quelli privati.
Nel caso di Libarna, trattandosi però di un castrum, non è sicuro che si verificasse il processo sopra indicato. 

ARCHITETTURA ROMANA
L'architettura romana è l'espressione più originale con le realizzazioni più durature nel corso dei secoli, inoltre presenta il grado maggiore di originalità e superiorità tecnica tra le architetture delle civiltà antiche dell'area mediterranea. E' risaputo, inoltre, che fu introdotto dai romani l'uso del calcestruzzo. 
Tutto questo ha permesso ai romani di realizzare edifici grandiosi dal punto di vista delle altezze e dei volumi, ad esempio nei casi della rete stradale, degli acquedotti e dei sistemi fognari, utilizzati ancora tutt'oggi. 
Gli architetti romani arrivarono a soluzioni avanzate e a forme nuove impensabili lasciate irrisolte dagli architetti greci. Tuttavia il peso della tradizione greca era molto forte e di conseguenza venne data una grande importanza anche all'aspetto estetico.
I romani si sono sempre sentiti inferiori rispetto ai greci, soprattutto in ambito filosofico, adottando così un linguaggio decorativo greco, nonostante le strutture romane fossero ampiamente superiori.
Per abbellire gli edifici in stile greco veniva utilizzato un rivestimento in calcestruzzo, ma a partire dalla fine della Repubblica iniziarono ad utilizzare, come sostituto, il marmo colorato. 

IL TEATRO




Il teatro era un edificio a forma semicircolare, di ispirazione pienamente greca, in cui si svolgevano le rappresentazioni tragiche e comiche insieme ad altre forme di spettacolo antico.
Il teatro di Libarna risale al I secolo d.C. L'edificio fu posizionato al limite nord-occidentale del tessuto urbano. Gli scavi finalizzati al solo rinvenimento dei resti, la costruzione di due linee ferroviarie e le numerose spoliazioni da parte dei contadini non permettono ora di capirne a pieno la sua monumentalità. L'edificio doveva essere altamente decorato con marmi preziosi e intonaci dipinti.  Il teatro, realizzato nelle sue parti essenziali in opera cementizia rivestita di blocchetti in pietra e corsi di mattoni, era probabilmente impostato su due ordini: un ambulacro esterno con ventidue arcate sorrette da pilastri su basi in arenaria ed un ordine superiore probabilmente cieco. 
Vi erano un ingresso principale centrale fiancheggiato da due ingressi laterali e da quattro ingressi secondari in corrispondenza dei corridoi radiali di accesso alle gradinate. 
All'interno la cavea e l'edificio scenico (in greco skenè) costituivano un blocco unitario, chiuso, garantendo una resa acustica ottimale. 
Davanti all'orchestra (spazio semicircolare tra gradinata e scena, in origine in Grecia destinato alle evoluzioni del coro) nelle fondazioni della scena sono ancora visibili i fori che ospitavano i meccanismi di sollevamento del sipario. Alle spalle dell'edificio scenico si trovava un giardino porticato (porticus post scaenam), al centro del quale, verosimilmente, si trovava una fontana.
Il teatro poteva ospitare diverse centinaia di spettatori.




L'ANFITEATRO




L'anfiteatro era un edificio di spettacolo, di forma ellittica, in cui si svolgevano i munera, i combattimenti tra gladiatori e le venationes, ovvero le cacce a bestie feroci.
L'anfiteatro era quasi sempre posizionato marginalmente rispetto al resto degli edifici, sia a causa della sua tarda diffusione sia per le folle ingenti che doveva ospitare. Pertanto esso sorgeva spesso al di fuori delle mura, tuttavia esistono comunque casi in cui esso si trovava all'interno. Ed è proprio questo il caso di Libarna, in cui l'edificio, costruito nel I secolo d.C., si collocava all'interno del perimetro, nella parte più orientale della città, in asse con il decumano massimo e con i cardini. 
L'edificio occupava una superficie pari a due isolati ed era circondato da un muro di cinta rettangolare  che doveva integrare l'edificio nel reticolo ortogonale. L'ingresso principale doveva trovarsi sul lato lungo occidentale, in asse con il decumano massimo; erano presenti anche altri tre ingressi.
L'edificio apparteneva al cosiddetto "tipo a terrapieno frazionato". Alle autorità spettava una tribuna speciale.
Il perimetro esterno, secondo le ipotesi archeologiche, doveva presentarsi su due ordini; erano presenti lesene, basi e cornicioni marcapiano in arenaria. L'arena era delimitata da un podio alto due metri circa. 
Al centro vi erano dei vani sotterranei di servizio, probabilmente coperti da un assito ligneo. Per proteggere gli spettatori sulle tribune dalla pioggia e dal sole l'edificio poteva essere coperto da grandi teli fissati a pali, a loro volta ancorati alla muratura. 
Questi spettacoli, come tramandano le fonti, riscuotevano moltissimo successo. A Roma, inizialmente, i giochi erano messi in atto nella piazza del Foro il quale era stato organizzato con gallerie sotterranee. In occasione dei munera gli spettatori sedevano su delle tribune di legno, montate per l'occasione.
Nell'epoca di Augusto gli spettacoli si spostarono nel Campo Marzio, nei Saepta; esisteva già un anfiteatro all'interno dell'urbs, quello di Statilio Tauro, ma era di dimensioni troppo ridotte.
Nel 71-72 d.C. fu iniziata la costruzione dell'Anfiteatro Flavio (il cosiddetto Colosseo) per volere di  Vespasiano e fu terminato sotto il regno del figlio Domiziano (81-96 d.C.). Questi edifici, però, erano già presenti nell'Italia Meridionale dal II secolo a.C., come nei casi di Pozzuoli e Capua. 






GLI ISOLATI




Le prime testimonianze edilizie a Libarna risalgono al periodo tra la fine del I secolo a.C. e l'inizio del I secolo d.C. La maggior parte dei rinvenimenti fa parte del "quartiere dell'anfiteatro" e dalla "via del teatro". 
Oggi è complesso comprendere l'organizzazione della vita e l'organizzazione delle case a causa della scarsa documentazione archeologica, oltre che degli interventi di spoliazione successivi all'abbandono del sito.
Per i due isolati adiacenti all'anfiteatro si può riconoscere una prima fase tardo-repubblicana/augustea (fine del I secolo a.C. - fine del I secolo d.C.) in cui l'isolato era diviso in una grande domus signorile e in tre abitazioni meno sfarzose con cortile parzialmente coperto e ambienti commerciali. 
Alla fine del I secolo d.C. gli isolati subiscono delle modifiche, verosimilmente per la costruzione dell'anfiteatro; le due grandi case ad atrio e peristilio vengono divise in lotti con una riqualificazione finalizzata alla produttività e al mercato, andando quindi a creare delle botteghe, delle officine di tintura della lana ed un ambulatorio medico. 
Le insulae (soluzioni abitative multifamiliari a più piani) non furono mai costruite a Libarna in quanto non ci fu mai uno sviluppo demografico che ne creasse la necessità. 



LE BOTTEGHE E L'AMBULATORIO DELLA DOMUS  D



A sud-ovest troviamo una bottega che si affacciava sul decumano massimo e confinante con due lavanderie (una più grande dell'altra). 
La nuova abitazione signorile occupava all'incirca due terzi della superficie dell'edificio precedente e presenta due ingressi simmetrici: il principale, nell'angolo sud-orientale, aveva al suo fianco la stanza del custode ed una serie di ambienti di servizio adibiti, probabilmente, come ricovero di animali; il secondo ingresso era posto nella zona nord-orientale, dando accesso a stanze di servizio, tra cui è anche riconoscibile la cucina. 
Una grande sala si estendeva per una superficie di 100 mq, ma di quest'ultima rimangono solamente pochi resti del pavimento marmoreo; da essa si accedeva al triclinio, caratterizzato da un pavimento a mosaico (ancora visibile) a tessere bianche e nere con al centro la raffigurazione, policroma, del mito di Licurgo e Ambrosia.





La sala da pranzo comunicava con il retrostante piccolo giardino, confinante con la camera da letto padronale preceduta da un'anticamera.
Nella stanza che occupa la parte più settentrionale della casa sono stati ritrovati dei mortai e degli strumenti chirurgici che suggeriscono la funzione ambulatoriale di questo ambiente. La disposizione e la dimensione di questa stanza fanno pensare che fosse il luogo in cui erano praticati gli interventi chirurgici, cure, quindi, diverse da quelle di routine familiare. In questo luogo viene così riconosciuto un vero e proprio ambulatorio, forse da porre in relazione con il vicino anfiteatro.





IL SCENA DI LICURGO E AMBROSIA NELLA PITTURA E NEI MOSAICI ROMANI
Nella versione di epoca ellenistica di Licurgo e Ambrosia, narrata da Nonno di Panopoli nella sua opera Dionisiakà, la ninfa Ambrosia, nutrice di Dioniso, è inseguita da Licurgo, re della Tracia, che tenta di ucciderla brandendo un'ascia bipenne. Interviene la madre Terra che la salva, trasformandola in una vite. 
L'iconografia di Ambrosia e Licurgo è presente sulla ceramica attica a figure nere e a figure rosse, dalla quale dipendono con chiarezza le rappresentazioni romane, in cui Licurgo è quasi completamente nudo, coperto solamente da un mantello svolazzante sulle spalle, indossando ai piedi gli éndromides, ovvero degli stivaletti alti, mentre Ambrosia stesa a terra è ancora in sembianze umane e attende il colpo fatale inferto dal re Trace con una spada. 
La più antica rappresentazione musiva è quella di Delo, databile al II secolo a.C., nella quale però è già codificata l'iconografia che poi si ripeterà sostanzialmente analoga in quasi tutti gli altri mosaici posteriori, la quale dimostra l'esistenza di "cartoni", ovvero di modelli comuni che circolavano all'interno dell'impero a disposizione dei mosaicisti. 


Mosaico di Delo con il mito di Licurgo e Ambrosia

"E' bellissimo fermarsi ad osservare ciò che qualcuno, 2000 anni prima di noi, è stato in grado di realizzare"





















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venerdì 17 marzo 2017

Bisanzio a Pozzolo Formigaro


COSTANTINOPOLI
Figlio di un generale illirico Costantino non ama particolarmente Roma e per questo decide di spostare definitivamente la capitale in Oriente. La necessità di avvicinare la sede dell’impero ai confini della pars Orientis e la volontà di legare il proprio nome alla fondazione di una città, come già Alessandro, lo spingono a questa impresa da cui sarebbe dovuta nascere una seconda Roma. La scelta ricade su Bisanzio, inaugurata con il nome di Costantinopoli nel 330. In pochi anni divenne una grande metropoli.
La fondazione di Costantinopoli apre la strada alla divisione in due parti dell’impero. I bizantini - che chiamano sé stessi romani – si considerano eredi di Augusto; utilizzando però la lingua greca e avendo tradizioni slave e asiatiche si allontanano dalla civiltà romana-latina. Nel 395, con la morte di Teodosio, la divisione è ufficiale: l’la parte orientale va al figlio primogenito Arcadio, mentre quella occidentale va al cadetto Onorio (gli succederà poi Galla Placidia, come reggente del figlio Valentiniano III).
E mentre l’Occidente si avvia alla dissoluzione, l’Oriente si consolida politicamente ed economicamente.


DA COSTANTINOPOLI A MILANO
I successori di Costantino trovarono come sede ideale la città di Milano che era già stata eletta come propria residenza da Massimiano. Milano eclissa chiaramente il prestigio di Roma fin dal 355, quando Costanzo II ci riunì il sinodo dei vescovi d’Occidente.
Con l’episcopato di Ambrogio Milano si arricchirà di un numero di chiese paragonabile a quello di Roma.


L’ASCESA DI RAVENNA
Dopo la morte di Ambrogio Milano appare poco sicura all’imperatore Onorio che assiste impotente alle invasioni germaniche al di là delle Alpi. Per questo nel 402 egli decide di spostare la corte a Ravenna, sede della flotta adriatica e semplice porto militare. Una scelta dettata da esigenze strategiche: toccata dalla via Emilia, difesa su tre lati dalle paludi del Po, affacciata sull’Adriatico, Ravenna appare inconquistabile da terra e raggiungibile per mare da Costantinopoli.
L’arte ravennate trova la sua espressione più originale in un’architettura sacra che combina forme già affermate in Occidente con una decorazione interna di ispirazione bizantina, con sontuosi effetti di superficie e sulla luminosità dei rivestimenti.


L’ARTE BIZANTINA
La cultura artistica che chiamiamo, impropriamente, bizantina è un ramo dell’arte tardoantica in cui la tradizione classica convive e si combina con le suggestioni delle diverse culture fiorite nella pars Orientis.
Da una parte abbiamo il senso dell’immagine come imitazione fedele della natura e la capacità di rappresentare lo spazio e il movimento dei corpi (efficacissimo naturalismo) e dall’altra troviamo la perdita della coerenza plastica ed una marcata schematizzazione delle forme (linguaggio codificato), incline all’astrattismo vedendo il linguaggio solenne, privo talvolta di movimento.
Fra i IV e il VI secolo l’impero d’Oriente si copre letteralmente di edifici sacri: chiese, monasteri, martyria e santuari. A Bisanzio le forme tradizionali dell’architettura romana si combinano con altre di origine orientale, dando vita a soluzioni di grande impatto e totalmente nuove.
Nella scultura si rinuncia sempre più ad imitare le forme naturali in favore di contenuti simbolici nelle immagini. Ci troviamo di fronte a figure bidimensionali, statiche, uniformi, ripetitive, collocate secondo l’ordinamento gerarchico della società del tempo. Si procede quindi verso l’impersonalità con immagini di una gelida perfezione formale, simbolo del potere e della gloria.


IL MOSAICO BIZANTINO

Il massimo dell’espressività pittorica fu raggiunto con il mosaico parietale a Bisanzio dal VI secolo in poi. I mosaici erano destinati alla parte alta della chiesa ed erano inframmezzati da strutture architettoniche che separavano le zone decorate. 
Il mosaico consiste nell'incastonare la tessere secondo angoli determinati; nei mirabili giochi delle policromie bizantine non v'è dubbio che anche gli affreschi avessero un importante ruolo, ma non avrebbero mai potuto raggiungere il ruolo dell'arte musiva.
Il mosaico bizantino scompare durante l'epoca iconoclasta: le raffigurazioni di immagini lasciano posto a quelle di semplici simboli, come croci (la maggior parte), animali, piante, uccelli, ecc.
Le prime immagini che riappaiono dopo l'epoca iconoclasta ripropongono a figure isolate lo schema classico, per poi riprodurre scene complesse e ordinate secondo cicli completi.


LA CHIESA DI SAN MARTINO VESCOVO A POZZOLO FORMIGARO




La chiesa di San Martino è stata fondata intorno all'anno Mille e la sua nascita si può collegare ai primi momenti di vita del borgo. Già l'11 Luglio 1196 la chiesa di San Martino fu menzionata da Celestino III in un documento con il nome di San Martino del Gazzo. Questa chiesa era situata al di fuori delle mura ed era adibita anche come rifugio dei pellegrini. 
Negli anni successi al 1200 il borgo si espande, inglobandola all'interno delle mura con la facciata rivolta, probabilmente, verso il castello, come risulta da un documento del 1579. 
Nel 1605 viene costruita la canonica e nel 1808 iniziano i lavori che portano ad un radicale rifacimento della facciata, spostata su quello che è il lato attuale. Altre minori ristrutturazioni furono apportate negli anni successivi dal parroco Montemanni.
La chiesa, però, continuava ad avere proporzioni irregolari, sia all'esterno che all'interno; questo fu il preludio che porto, cinquant'anni dopo, alla sua demolizione. Così nel 1904 iniziarono i lavori per l'attuale costruzione in stile bizantino.
Oggi la facciata in mattoni scoperti mostra l'andamento delle tre navate, con la centrale più alta e con tetto a capanna decorato ad archetti, mentre le laterali hanno tetto a spiovente. La facciata ha tre ingressi; il centrale ha un protiro ad una sola colonna e sorregge una tribuna con balaustra, dove un tempo si mostravano le reliquie ai fedeli. 
Le due navate presentano una successione di cinque cappelle affrescate, per la maggior parte, dal pittore Beroggio di Torino. Sul catino absidale sono stati dipinti, dall'Arneri, momenti della vita di San Martino, con una ricca disposizione di figure e di allegorie. 
Nella terza cappella a sinistra si conservano due tele settecentesche, recentemente restaurate e provenienti dall'Oratorio dei Battuti Rossi (di Pozzolo Formigaro), rappresentanti il martirio di San Bartolomeo e la Madonna col Bambino.
Nella quarta cappella a sinistra sono visibili due pitture su legno, forse databili al Settecento, rappresentanti, quella di destra, San Giovanni Battista e, quella di sinistra, San Paolo.















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